Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/42

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di campanello disordinò ancora il silenzio della casa, sebbene fosse, questo squillo, garbato come quello degli inquilini che supplicavano di essere ricevuti, e nello stesso tempo astuto come quello del ladro che si accerta se la casa è abitata o no. Ella lo sentì così, nel suo cuore, che rispose con un’eco di terrore ma anche di coraggio e quasi di sfida: balzò quindi, con agilità fantastica, e corse lei stessa per aprire, dopo aver respinto silenziosamente Pierina pallida di curiosità. Prima di allargare la catena della porta si volse a guardare lungo il corridoio, quasi per assicurarsi se tutto era a posto: tutto era a posto, come sempre: eguali le luci e le ombre, i riflessi e i colori: dall’uscio aperto della sala da pranzo ancora il sole, velato dalla trasparenza delle vetrate, stendeva sul pavimento un rettangolo di riverbero quasi lunare. Mai più significativa e densa era stata l’intimità del luogo, aderente a lei come una seconda veste: eppure ella ne provò sgomento: di nuovo le parve che qualcuno la scacciasse dal tempio; ch’ella dovesse uscirne per un giusto esilio e forse non rientrarvi mai più. Era giusto. Ma spaventoso. Aprì.

Tre uomini stavano davanti alla porta: due, alti, quasi eguali anche nel viso scuro, quadrato e caricaturale; il viso dei poliziotti come se lo immagina chi non lo ha veduto che sui mani-