Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/48

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– Della mia famiglia ho conosciuto solo mio padre. La mamma era morta in parto. Mi allevò una serva già anziana, che mi si affezionò talmente da essere gelosa quando io le chiedevo di parlarmi di mia madre. Io, al contrario, non le volevo bene: mi sentivo lontana da lei, per istinto, per razza, per quella nostalgia continua della mamma morta. Non amavo neppure mio padre, che era un uomo sempre pieno di affari, e quindi poco si curava di me. Abitavamo una piccola città, nella quale però si era stranieri. Mio padre ci era andato come capo di una squadra di carbonai, per il taglio di un bosco; a poco a poco diventando lui stesso speculatore di legname, di carbone, di cenere. Comprava intere foreste: le disboscava, ci guadagnava molto. La popolazione, sebbene si avvantaggiasse del lavoro dato da lui, ne parlava come di un negriero o di un mercante di veleni. Invidia. Persino le stagioni di siccità e di conseguente carestia erano incolpate a lui, attribuendo al taglio dei boschi la mancanza di pioggia. Ma egli non si curava di nessuno, e davvero trattava i suoi dipendenti come schiavi. Ma in fondo era buono, e faceva elemosine segrete, e lavorava solo per me. La nostra casa era sempre piena di operai, per le paghe: poveri diavoli melanconici, mal vestiti, scuri, per lo più stranieri, che finivano con lo sposare donne equi-