Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/75

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tata a vigna e oliveto, a metà costa della collina, che a sua volta vigila il paese. Percorro la strada che si dirama dalla piazza, e, diventata poi stradone provinciale, scende in dolce declivio costeggiando il fiume, fra macchie e pioppi che cominciano a mettere le foglie: del resto è la mia solita passeggiata, perchè non posso percorrere l’altro ramo della strada ad ovest del paese, bella e pittoresca, sempre lungo il fiume, ma che troppo mi fa soffrire: strada sopra la quale, dopo l’antichissima parrocchia si stende al sole il piccolo cimitero dove ella dorme; e più oltre, fra i grandi alberi di un parco, sorge la villa della sua famiglia: e più oltre ancora il convento ove ella è stata educata. Boschi di querce e di castagni s’infittiscono su per le colline intorno, e le ghiandaie e i chiurli, le cornacchie e i corvi li riempiono di gridi e di lamenti. Là il paesaggio è quasi montano, e il fiume, incassato fra due rialti rocciosi, non offre pericolo, anzi pare soggetto alla grandiosità severa del luogo: qui, invece dal paese in giù, la valle si allarga, si distende quasi in prateria: per questa ragione gli abitanti, sedotti dalla facilità del terreno, vi coltivano e seminano, e vi hanno costruito le loro casette, i mulini, i frantoi: ed è qui che ogni anno, anzi più volte all’anno, le acque turbolente, scappate dagli argini naturali, allagano e distruggono ogni cosa. Lasciate appena