Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/76

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le ultime case del paese, vedo la fortezza del mio vecchio Paolone: egli è intento a zappettare il campo per la seconda semina delle patate, e la moglie lo segue come la sua ombra. La giornata è mite, azzurrina, con venature di nuvole bianche che sembrano trine: il silenzio è grande, chiaro: si sentono i lontani gridi delle gazze, come ripetuti da un’eco metallica. Lungo il velo dell’acqua, oggi tutta buona, bassa e lucente, i pioppi sono uniti gli uni agli altri da incessanti voli di uccelli. E poichè qui non esiste neppure un ponticello, vedo alcune donne attraversare il fiume camminando di pietra in pietra senza bagnarsi; eppure tutte hanno involti sulla testa, o in mano: una tiene in braccio un bambino vestito di rosso che ride di felicità chinandosi a guardare l’acqua corrente.

Arrivato al bivio, dove la strada si biforca e da una parte prosegue verso una specie di sobborgo abitato solo da contadini poveri, io prendo un viottolo ben tenuto, ben battuto, tanto che ci si cammina meglio che nella piazza centrale del paese, e salgo fino alla casa del podestà. Come dissi, la villetta si affaccia al sole, tutta gialla, con le persiane azzurre, una loggia di marmo sopra il portichetto d’ingresso. Lo spiazzo, davanti, è fortificato come un piccolo bastione, e sul suo parapetto fanno bella mostra decorativa grandi vasi di terracotta di