Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/85

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mente scolastico, come se egli si trovi già davanti alla Commissione di esami, o parli dalla conquistata cattedra.

Io l’ascolto, senza molto interesse; non però indifferente; e a misura che il fumo livido delle sue sigarette si spande nel sole come un principio di nebbia, il malessere mi riprende, le ombre ritornano: ecco, è lo stesso odore, lo stesso clima della nostra pensione di Roma. Cerco tuttavia di liberarmi, di ridere di me stesso: lo so, limpidamente, che mi trovo sempre in un senso di vano incubo; e che il rimorso del quale ho il sangue intossicato, fa di me un essere più che mai visionario e fuori della realtà: e l’uomo che senza riguardo fuma e parla di altre epoche, di personaggi ferrei e violenti, di cortigiane e di condottieri, di denaro e di lussuria, capisce benissimo con chi ha da fare: ma non ha compassione di me, anzi pare provi un gusto sadico a godersi la mia timidezza e la mia sofferenza.

E forse appunto per questo, smesso finalmente di fumare, mentre ancora però i mozziconi delle sigarette e la loro cenere, nel vasetto di rame dorato, odoravano come un avanzo d’incenso, egli disse:

– Mi duole che la nostra conoscenza sia avvenuta un po’ tardi; ma ho ancora due giorni da restare quassù, e spero che lei vorrà favorirmi, domani sera, di venire qui a pranzo da