Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/89

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rità. La figura del mio nuovo amico risaltava più viva: col colore del padre, quello della madre, con luci ed ombre marcate, senza sfumature. Meglio così. E mi piaceva ancora di più, così mi dava quasi affidamento che, sullo sfondo romantico del poggio degli ulivi, mi sarebbe apparsa una sagoma monacale di santo eremita.

Nel pomeriggio tardo, già sfiorito, grave di quella indicibile tristezza delle giornate serene, già lunghe ma ancora acerbe e fredde, me ne stavo a sbrigare la mia corrispondenza infeconda, quando la Paolona, così avevo preso a chiamarla, bussò all’uscio, del resto socchiuso, e con un fare trepido, nascondendosi, come paurosa di far vedere il suo viso stupito e felice, mi allungò una carta da visita.

Antioco Lante

Oh, il personaggio, da vero gentiluomo, veniva a restituirmi la visita. Confesso che sulle prime mi riavvolse un vapore di sgomento. Dove riceverlo? Quasi mi vergognavo del mio ricovero. Poi mi feci coraggio. Se i miei padroni di casa non conoscevano il podestà, egli ben doveva conoscere loro: e se veniva a cercarmi