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fiori di carta che, con lo sfondo verde umido della piccola finestra munita d’inferriata, davano alla cameretta un colore di oratorio campestre. Anche il gattino, spaurito, saltò in grembo alla donna, ed ella si consolò e si confidò con lui.

— Glielo avveleno, vedrai; poi mi avveleno io. Così non può durare. Oh, oh, oh, oh...

Ella singhiozzava, sul gomitolo di seta nera del gattino, e il gattino, da par suo, ritornato contento e birbante, le graffiò il mento.

— Ah, mascalzone, va giù: tutti così, in questa casa, ingrati e traditori.

Ma il suo sdegno cadde subito, anzi si accese in gioia, poichè l’amico bussava all’uscio.

— Mina, ragazza, — diceva la sua voce di fagotto, — smettila con le tue scempiaggini. Ho fame.

Al sentirsi chiamare ragazza dall’uomo che aveva dieci anni meno di lei, Mina balzò agile, aprì e fu nuovamente sotto il completo dominio di lui.

Anche il cane s’era accucciato da padrone davanti al camino; anzi, nel veder la donna, si sollevò e ringhiò; ma ad un cenno dell’uomo tornò a mettersi giù, con la testa sulle zampe.

Piegata sul fuoco per finir di preparare la cena, Mina provava un senso di paura quasi angosciosa: le pareva di aver accanto davvero una belva maligna, dalla quale esalasse un ardore di pericolo più grande di quello del fuoco. In-