Pagina:Deledda - La chiesa della solitudine, 1936.djvu/124

Da Wikisource.

— 118 —


— Ah, a te non importa? Importa a me, invece, per l’onore del paese.

— Oh, oh, — si permise di ridacchiare Concezione; ma il vecchio questa volta era sdegnato sul serio e alzò la voce.

— Non ridere, sai, cuore mio: c’è poco da ridere, e te ne accorgerai presto. M’importa, sì, perché il nostro paese non è abitato solo da asini, ma anche da cristiani e galantuomini e teste quadrate. E che sono venuti a far qui questi forestieri senza midollo? A portare lo scandalo e il subbuglio: sono sempre ubbriachi e cantano come galli arrochiti. Che sono venuti a fare? Una strada? Ma noi non ne avevamo bisogno, di questa strada, il diavolo ci passi. Sappiamo camminare di pietra in pietra, come i giganti, ed entrare fino al collo nell’acqua corrente. Mi fa ridere, il ponte che stanno a fare su quel filo d’acqua che io scavalco con un passo: e parlo di me, che sono vecchio: i miei nipoti, poi, passano avanti ai caprioli, e il torrentello, quando essi lo saltano, scodinzola come fa il loro cane. Razza di forti, siamo noi, e non strimpelliamo la chitarra; se andiamo una volta tanto da una donna come quella, nel lasciare la sua tana sputiamo, e il giorno dopo in fede mia, andiamo a confessarci.

— E a me, ripeto, che importa? — ribatté