Pagina:Deledda - La chiesa della solitudine, 1936.djvu/166

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produce il ronzìo delle orecchie malate. Intorno non si vedeva nessuno, e la chiesetta pareva perduta nella solitudine più aspra dei monti. D’un tratto però ella ebbe come una allucinazione, o meglio le parve di sognare uno dei suoi soliti sogni. Un uomo vestito in colore del granito, stava seduto appunto su un macigno sopra l’orto, e quasi vi si confondeva: pareva dormisse, o fosse una delle parvenze illusorie che si disegnano sui profili delle rocce o sulle nuvole. Nuvole non ce n’erano, sebbene il cielo fosse lievemente velato dai vapori del caldo, di un color lilla striato di rosso. L’uomo teneva le mani strette fra le ginocchia, e la testa, nascosta da un cappello grigio, china sul petto. Che faceva lassù, solo, quasi dominando il paesaggio come un padrone che vigila la sua terra? Pareva fosse fuggito dal chiasso della festa, ma che i rumori, le musiche, il suono delle campane, lo addormentassero come un bambino inquieto. Concezione lo riconobbe, più che altro, dal suo turbamento. Era Aroldo. Ed ebbe paura che comare Maria Giuseppa e il nipote lo vedessero e lo giudicassero male. Avrebbe voluto correre su a svegliarlo, a pregarlo di andarsene; ma con che diritto? E inoltre aveva paura di accostarlo: tutto, quel giorno, la opprimeva, le dava un senso di an-