Pagina:Deledda - La chiesa della solitudine, 1936.djvu/172

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Si faceva tardi; forse quei due, ammaliati scioccamente dalla festa, non sarebbero per quel giorno più venuti; e quell’altro, là dietro le pietre, addormentato come una biscia, avrebbe passato lassù la notte, e impedito anche a lei di dormire tranquilla.

Irritata, chiamò la madre.

— Io direi di cercare di svegliarlo, quello stupido: se lo trovano lì può avere delle noie.

— Aspettiamo un altro poco, alle volte non sopraggiunga comare Maria Giuseppa.

— Maledetta sia, e con lei il suo scemo. Uffah, uffah!

Si sventolava sul viso la cocca del grembiale: avrebbe voluto andarsene a letto e mettersi nuda fra le lenzuola fresche. Col cadere della sera il caldo aumentava: non si moveva un filo d’erba; le pietre esalavano un calore di brage coperte; e ad accrescere questa oppressione ecco apparve in cima al monte una fiamma cremisi; la luna sorgente.

Al suo chiarore, con uno scalpitìo di cavallo, arrivarono finalmente quei due: a dire il vero il nipote camminava con passo elastico, poiché aveva le scarpe coi tacchi di gomma e la sua andatura era istintivamente felina, come di giovine belva che insegue la belva con la quale vuole accoppiarsi. Concezione capì subito questo istinto animalesco di lui