Pagina:Deledda - La chiesa della solitudine, 1936.djvu/233

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visionario, qui intorno. Ce ne sono altri, creda: è un male che si comunica, nei luoghi solitari, dove tutto pare quieto e invece è un subbuglio peggio che nei centri abitati. Ebbene, c’è un altro suo adoratore, signorina, e in apparenza molto più in gamba dello scemo, uno che pretende di aver veduto il signorino Aroldo su nei boschi della montagna. Si aggira sparuto e lacero, come un animale inseguito, e dorme nelle grotte, e mangia quello che gli danno per elemosina i pastori di porci.

— Ma sono tutti pazzi? — ella gridò: e le parve che il mistero della malattia mentale accennata dal brigadiere, si comunicasse pure a lei; ma in fondo provò un senso di sollievo. Aroldo vivo! Fosse anche svanito di mente; lo prendessero pure, come una lepre, e lo portassero al manicomio; tutto andava meglio che s’egli fosse morto di mala morte e seppellito in terra non consacrata.

Il brigadiere sorrideva, con due solchi beati intorno alla bocca: e non si stancava di guardarla, di godersela quasi, così smarrita e trepida davanti a lui, contento di tormentarla e consolarla nello stesso tempo.

Contando con l’indice della mano destra le dita della mano sinistra, disse:

— Sì, tutti pazzi. Pazzi per colpa sua. Vuole che gliene conti cinque o sei?