Pagina:Deledda - La chiesa della solitudine, 1936.djvu/245

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che si vuol nascondere a tutti i costi: un muro quasi più alto della stessa abitazione, ricingeva il cortiletto sassoso, ed era tutto rivestito di erbe grasse e incoronato da un barbarico diadema di frammenti di vetro che al riflesso della luna sprizzavano ironiche scintille verdi rosse e gialle di pietre preziose: mentre la casetta, piccola e scura, con porticine, finestruole e sportelli non uno simile all’altro, sembrava una dimora di nani e folletti, anche a giudicarne da un fico contorto, dal quale cadevano le grandi foglie nere accompagnate da strani pigolii di uccelli fantastici. La figura della madre di Serafino rassomigliava a quella della madre di Concezione, ma con un aspetto tragico, del resto giustificato dallo stato doloroso del figlio: aveva accolto in perfetto silenzio i due visitatori, facendoli entrare non, come si usava, nella cucina ospitale, ma in un andito freddo e oscuro e di là su per una scaletta di pietra tutta a una rampata. L’uscio della camera di Serafino era aperto, e ne usciva un odore misto di chiesa e di farmacia: una piccola lampada ad olio, sul cassettone col ripiano di legno, illuminava un quadretto con una Madonna anch’essa notturna e quasi velata di nebbia; ma sopra, sulla parete bianca, un Crocefisso di metallo dorato brillava come una spada.