Pagina:Deledda - La chiesa della solitudine, 1936.djvu/63

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Né l’uno né l’altra però avevano voglia di cose piacevoli: ed entrambi, come d’intesa, scossero la testa, restando in piedi presso l’armadio ove egli aveva riposto i suoi paramenti, sotto la luce cruda e verdastra della finestrina sulla roccia. Dall’uscio della chiesetta veniva ancora l’odore dell’incenso, ma freddo, funebre; e la piccola cella, con alcuni vecchi candelabri scrostati in un angolo, aveva il clima di una tomba. Il primo a riprendersi dalla tristezza di tutte quelle cose, fu Serafino: esilissimo nella sua sottana accurata e quasi elegante, coi capelli un po’ crespi intorno alla chierica, come cespuglietti intorno a una radura, aveva anche lui, come il nonno e i fratelli, una strana aria selvatica, fra di uccello di rapina e di santo eremita: le sue mani gialle, un po’ adunche, facevano contrasto con gli occhi grandi, dorati e buoni. Fissandoli bene in faccia a Concezione, disse:

— Perché non sei venuta alla messa?

Ella piegò la testa; e avrebbe voluto dirgli tutte le sue pene, e l’esito dell’operazione subìta, ma si vergognava, ed anzi, istintivamente, si stringeva le mani al seno, per nasconderne il vuoto. Tuttavia, con una tenue, umile voce di confessione, disse:

— Sono malata, non lo vedi? Non mi reggo in piedi. Sono uscita ieri dall’ospedale, e