Pagina:Deledda - La chiesa della solitudine, 1936.djvu/73

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stro cancello: pare voglia venire qui. Oh, Gesù e Maria, è lei, quell’indiavolata di comare Maria Giuseppa.

E corse nella cucina ad aprire la porta. La donna con gli sproni era entrata senz’altro nell’orticello, tirandosi appresso il cavallo e affondando vigorosamente i piedi nella neve, gelata e granulosa come fior di farina: nell’arco del cappuccio ben legato sotto il mento, si vedeva un viso pallido e grasso, con la bocca stretta sormontata da due baffi che sembravano quelli di un adolescente: e gli occhi neri corruscanti guardavano come quelli di una volpe dalla profondità della sua tana. Anche la voce era maschia, e rimbombò nel silenzio del luogo.

— Salute, e fatto tutto. Salute, comare Giustina. Mi volete o no? Ho la bisaccia piena.

— Piena o vuota, la bisaccia è vostra; mio è il piacere di rivedervi.

Allora l’ospite allungò le mani e carezzò il viso di comare Giustina; poi, essendo pratica del luogo, portò da sé il cavallo sotto la tettoia che copriva il pozzo e ospitava alcune galline freddolose: gli legò al collo un sacchetto con dentro un po’ d’orzo; tirò giù la bisaccia e la sella e le portò dentro la cucina, avendo prima cura di scuotersi di dosso la neve.