Pagina:Deledda - La chiesa della solitudine, 1936.djvu/99

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— Brava: hai fatto le cose per bene.

Anche la voce di lui s’era rischiarata; roseo, sebbene di un roseo giallognolo, pareva anche lui in via di guarigione; ella se ne rallegrò, e lo invitò ad andare a prendere il caffè.

Non passarono per la sagrestia; anzi Serafino volle attraversare lo spiazzo davanti alla chiesetta, dove sotto il muricciuolo fiorivano i biancospini; poi si aggirò nell’orticello, fra le fave e i piselli già sparsi di farfalle bianche e nere di fiori. Si piegava a guardare i fili d’erba, il musco che copriva i sassi, le lucertole fuggenti; con scatti di riso, come quelli di un bambino lasciato in libertà.

— Se è felice lui, perché non dovrei esserlo anch’io? — pensò Concezione; e d’improvviso si sentì davvero contenta; contenta della bella giornata, delle montagne che rinverdivano, del sole già caldo. Disse, andando a prendere il vassoio col caffè:

— Mia madre è fuori: è andata giù a lavare i panni nel torrente. Avevi da dirle qualche cosa, forse?

No, egli era venuto per lei. Sedette sulla panchina di pietra accanto alla porta, e accarezzò il gatto che pretendeva saltargli in grembo.