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Pagina:Deledda - La fuga in Egitto, 1926.djvu/167

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— La gente fa il male senza saperlo e senza volerlo; tocca agli uomini di coscienza metter riparo. Quando il fiume straripa che colpa ne ha? Ma gli uomini fanno gli argini e il disastro è riparato. Così dobbiamo fare noi.

Gesuino chinò la testa, in modo che la luna gl’illuminò i capelli come un campo di stoppia; anche lui guardava e pareva consultasse la sua ombra nascosta fra la siepe. Vi fu un intervallo di silenzio, finchè il cane abbaiò, a testa in aria, per avvertire i vicini e i lontani che la quiete era apparente, che si vigilava e si era pronti a sventare gli agguati. Allora il padrone sollevò pure lui la faccia e disse:

— Lei è un galantuomo. Sono sicuro che anche mio fratello Proto lo aiuterà. Cosa dobbiamo fare?

— Ecco, intanto, non far sapere a nessuno che la donna è qui. È meglio evitare le chiacchiere. Inoltre, se la vedete, non accennarle al suo stato, non farvi meraviglia di niente. Posso ben tenere una serva anch’io, come sempre l’ho tenuta. È vero, — aggiunse sarcasticamente, — che non si dormiva nella stessa stamberga; ma insomma è lo stesso. Infine, quando io sarò costretto ad uscire, anche per occuparmi dei fatti di lei e veder di aggiustare le cose, voi dovete vigilarla e vigilare qui intorno. Vi chiedo troppo?

Deledda. La fuga in Egitto. 11