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V.


Seduto al piano Stefano suonava per ingannare il tempo dell’interminabile sera d’agosto. Il gran disordine del salottino accennava la recentissima visita di amici poco delicati: sedie spostate, indecenti macchie di saliva sul pavimento, un vassoio con caraffe e bicchieri dal fondo rosso di vino, mozziconi di sigarette sul portacenere, e infine un denso odor di fumo che appestava anche le camere attigue.

Disgustato ancora per la rumorosa visita dei quattro amici, fra i quali un ricco e triviale paesano, ch’erano venuti per tentarlo a ripresentarsi candidato nelle prossime elezioni comunali, Stefano suonava nervosamente il brindisi di Gluck.

— Sciocchi, — pensava: siete così piccoli che mi verrebbe voglia di pestarvi la testa come gli scarafaggi.

E senza muovere un muscolo del viso rideva internamente col riso sonoro del pianoforte: rideva di quegli uomini rozzi e ignoranti ch’erano venuti a sputar nel suo salotto come sputavano in piazza, e che parlavano di Crispi e di Di Rudinì come del sindaco del paese,