Pagina:Deledda - La giustizia, Milano, Treves, 1929.djvu/204

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damente, e al disopra del parapetto egli non vide che il serpentino volteggiar della frusta grigia: poi il rumore delle ruote andò smorzandosi lentamente; e di nuovo imperò per tutta la valle la selvaggia e triste corsa del torrente.

Ma l’incanto era rotto, Stefano perdette quell’intima superiorità di sensazioni che per qualche istante l’aveva reso felice e puro; e rimontato a cavallo riprese la sua via un po’ pensieroso e triste, ma tuttavia invaso da un resto di dolcezza, da un ben forte e ben formulato desiderio di giustizia e di bene.

Sullo stradale fermò il cavallo vicino al paracarri, ascoltando ancora il romore delle acque, e guardando il soleggiato angolo ove si era riposato, quasi ad imprimersi negli occhi la fisionomia del luogo che aveva operato in lui il meraviglioso incanto.

Dall’alto il luogo gli parve diverso, e nella musica del torrente non sentì più che una nota monotona e melanconica; ma non ne provò dolore, perchè entro di sè sentiva ancor indelebile la profonda impressione di quell’alto cielo, di quel motivo musicale che svelava tutte le dolcezze e le grandezze, i sentimenti di scontentezza e le aspirazioni di giustizia, i grandi dolori e le fiere gioie della grande anima sarda.

I cani correvano sempre; un momento sparvero, poi ricomparirono più in alto, più in alto ancora, finchè si fermarono sull’estremo gra-