Pagina:Deledda - La giustizia, Milano, Treves, 1929.djvu/258

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da nessuno e tanto meno da chi avevale gettato il marito in galera. Ma poi si lasciò facilmente convincere dalle compagne di viaggio, prese i denari e ringraziò, chinando l’occhio; ma appena Stefano scomparve gli lanciò dietro una fiera maledizione e, fra l’invidiosa attenzione delle altre viaggiatrici, contò i biglietti.

Stefano non vide, ma intuì questa scena, e, solo nel piccolo, incomodo scompartimento di prima classe, s’abbandonò a un profondo malumore: il freddo intenso, il disagio, la melanconica visione dei fuggenti paesaggi nevosi contribuirono a renderlo triste.

La neve stendevasi fino all’orizzonte, e sul suo desolato candore i radi alberi selvaggi, le macchie e gli alti cespugli, da cui il vento aveva scosso il bianco mantello, apparivano d’un umido verde giallastro e cupo, che accresceva l’impressione solennemente triste del paesaggio.

In lontananza, sulle marmoree altezze delle montagne, si scorgevano nitide le fosche macchie dei boschi; il cielo era tutto un’apocalittica visione di viaggianti nuvole di un grigio chiarissimo, dissolventisi in misteriose figure di mostri profilati d’argento. Solo sopra le montagne nuoresi si apriva uno squarcio di cielo azzurro e sereno, un lungo aereo lago, la cui liquida purezza rifletteva l’oro d’un invisibile tramonto. E questo tranquillo, misterioso riflesso calava sulle nevi, gettando sulla deso-