Vai al contenuto

Pagina:Deledda - La giustizia, Milano, Treves, 1929.djvu/285

Da Wikisource.

— 277 —


— No, ti assicuro, nudo, nudo come te, come tutti..., disse ridendo Stefano.

— Volevo dire che lei è ricco e noi poveri, e che quindi è giusto che ella rovini chi meglio le pare e piace; ma...

— Ragazzo, oh, ragazzo! — disse l’altro, sempre con quel maledetto tono di sarcastica superiorità. — Che logica è la tua? Cosa diavolo vi siete fissi in testa? Peggio per tuo padre che non disse la verità!

— Peggio per mio padre? Ma appunto perchè disse la verità, per far piacere a lei, s’è rovinato! E lei doveva aiutarlo... lei non doveva permettere... lei non doveva fare... lei... infine, se lei non diceva al babbo: «sta più che sicuro!» il babbo non si sarebbe rovinato!...

— Cosa mi stai dicendo, moccioso? Scommetto che neppur tu ti capisci.

— Oh, io mi capisco troppo!

— Tanto meglio allora, per te e per gli altri! E perciò passavi senza salutarmi? Forse che gliele misi io le manette a tuo padre? Se le è messe lui medesimo, imbecille! Io gli dissi di dire la verità, e di star sicuro dicendo la verità. Pare che egli abbia fatto il contrario... e che colpa ne ho io? Mi dispiace per tua madre, per i tuoi fratellini ed anche un po’ per te, manica di canaglia, che accenni già ad esser figlio di babbo tuo..., e lo guardò da capo a piedi, — ma del resto?... Vuoi forse