Pagina:Deledda - La giustizia, Milano, Treves, 1929.djvu/29

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pregando davanti al camino acceso, Stefano indossò un soprabito invernale foderato di pelliccia, mise la rivoltella in tasca, un pugno di ferro nell’altra, e uscì. Sulle prime sentì un po’ di freddo, ma ben presto, camminando con passo rapido e svelto, si riscaldò.

Il vento era del tutto cessato; grandi striscie di nuvolette bianche si stendevano a ventaglio sul cielo chiaro, d’un azzurro d’oltremare; pareva una immensa raggiera di argento filogranato che attendesse la luna per incoronarla. E la luna piena spuntava sopra una lontana e immobile linea di alberi neri, in una zona purissima di cielo chiaro come l’acqua d’un fiume. Dapprima apparve un diamante sulla cima d’una quercia, poi brillò un fuoco d’argento e tutta l’immobile linea della lontana foresta parve incendiarsi, ma d’un freddo e bianco incendio, al cui riflesso la raggiera delle nuvole cominciò a impallidire e dissolversi. Stefano guardava, fermatosi quasi suo malgrado, sulla piazzetta della chiesa: le pietre dei paracarri dello stradale che attraversava il paese scintillavano ai primi riflessi lunari: un cane tigrato e melanconico contemplava la sorgente luna e abbaiava lamentosamente; altri cani rispondevano in lontananza e niun altro rumore saliva dal villaggio già addormentato. Stefano riprese la strada e, per giungere più presto alla casa di Maria situata al-