Pagina:Deledda - La giustizia, Milano, Treves, 1929.djvu/291

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— Ed io pensavo d’aiutarlo ad andarsene lontano! — disse a voce alta, amaramente. Battè sull’arcione un pugno così forte che la mano chiusa gli dolorò; e sollevò il volto in aria, con una vibrante invocazione di vendetta.

Gli parve finalmente di risvegliarsi dal doloroso smarrimento quando cominciarono ad apparire le selvaggie campagne del suo paese. Il sole alto le allagava di splendori ardenti che traevano dalla fiorente vegetazione acute e snervanti fragranze.

Egli prese ad attraversare le scorciatoie, esili traccie gialle perdute fra i pascoli e i seminati, tratto tratto ombreggiate da alberi selvaggi, sotto cui egli doveva curvarsi per non esser sfiorato dalle ruvide fronde.

Fu allora, fra caldi soffî di vento profumato, ch’egli nitidamente ricordò l’incontro del nemico sulla vetta del monte, il saluto dato e ricevuto, lo strano desiderio d’un nuovo incontro, desiderio che tante volte l’aveva seguìto per quei medesimi sentieri, sotto quegli stessi alberi, per quelle scorciatoie dai lontani sfondi solitari. E al ricordo del saluto e del desiderio, l’umiliazione e l’ira lo investirono più potenti ancora. Ora finalmente comprendeva lo sguardo e la generosità del nemico che l’aveva lasciato passar oltre incolume: e di nuovo, come prima dell’incontro, nonostante le prove che il suo cuore e la sua ragione possedevano per