Pagina:Deledda - La giustizia, Milano, Treves, 1929.djvu/295

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Stefano rise di nuovo, ma con più naturalezza.

Attraversavano il salotto, e don Costantino camminava e parlava piano:

— Ora rimette già all’ordine del giorno la questione del nome! — disse con la sua bonaria ironia. — Fa un po’ il piacere tu di dirgli che c’è tempo, e lasciargli stare un po’ in pace tua moglie, poveretta...

Spingendo la portiera vide che don Piane, profittando della sua assenza, s’era ancora impossessato del bimbo.

— Eh, diavolo! — disse a voce bassa, ma adirandosi davvero.

— Finirai col fargli del male!

Stefano andò dritto da Maria, la guardò, le posò una mano sulla fronte: e la fronte era fresca, ma il viso pallidissimo e gli occhi smorti enormemente dilatati.

— Hai dormito?

— Sì, un poco. E la mamma?

— Tornerà stasera.

Don Costantino riportò il bimbo, fece scostare Stefano, e delicatamente rimise nel letto il piccolo tesoro fasciato dal collo ai piedi. Il padre si chinò, lo guardò a lungo, fissandone i chiusi occhi dalle brevissime palpebre bionde, l’invisibile bocca e il rosso visetto rugoso, sommerso nel pizzo ondulato della cuffietta; ma non ebbe desiderio di baciarlo.

— A chi somiglia? — domandò Maria.