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da bambino, al cader della sera, quando scendeva carico di legna dall’Orthobene.

Dopo questi sogni da febbricitante egli si sentiva debole, languido; ma allora gli pareva di diventare astuto, la sua mente si affinava, progetti da delinquente esperto gli fermentavano nella mente.

Appunto in uno di questi momenti di languore tisico, dopo aver ucciso Francesco Rosana in sogno, egli previde ciò che sarebbe accaduto dopo.

— Mi arresteranno, mi condanneranno; passerò la vita in reclusione. A che servirà la vendetta? Sarà peggiore della sventura. No, bisogna essere astuti; astuti come le donne. Vedi, — diceva a sè stesso, — vedi come è stata furba e maligna Maria? Mi ha tradito, ha tessuto la sua tela senza farmi sospettare di niente. Io non riuscirò neppure a chiederle: «perchè hai fatto così?». Eppure mangio il suo pane e dormo sotto il suo tetto. Mi ha tradito senza che io me ne accorgessi. Bisogna che anch’io diventi maligno, calcolatore, astuto...

E diventava maligno, calcolatore, astuto; e il suo dolore aumentava, cresceva nella solitudine, liberamente, come era già cresciuto il suo amore: come una pianta selvatica...

Una notte egli ritornò in paese: questa volta però non lo spingeva un impulso cieco, ma un desiderio angoscioso di riveder Maria, di muoversi, di combattere contro il destino.

Legò il cane e partì: arrivò in paese verso le nove. Il portone dei Noina era chiuso. Egli picchiò, con la speranza che aprisse Maria; un bar-