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224 la via del male


Nelle belle giornate di primavera gli sposi montavano sulla magnifica cavalla bianca, che già li aveva ricondotti dal monte Gonare a Nuoro, e visitavano l’oliveto, la vigna, l’ovile di Francesco.

Nell’ovile, anzi, avevano divisato di passarci tutto il mese di maggio, come usano molti pastori nuoresi allorchè si sposano.

Francesco veramente non era un pastore: era un possidente ed aveva una discreta rendita; ma siccome il bestiame e i pascoli (tancas) rappresentavano la sua più grossa proprietà, egli passava buona parte del suo tempo nell’ovile, coi suoi pastori, i suoi cani, le belle vacche alte e fiorenti che lo riconoscevano e che pareva lo amassero in modo speciale. Anch’egli le amava, le chiamava con nomi poetici, le accarezzava, s’accorgeva se stavano più o meno bene.

Queste vacche pascolavano liberamente tutto l’anno nelle ubertose tancas di Francesco; si abbeveravano nell’acqua corrente d’un ruscello, meriggiavano sotto i boschetti di quercie millenarie, e la sera si ritiravano entro una mandria circondata di siepi. Nessun riparo per l’inverno: durante le lunghe nevicate i pastori nutrivano il bestiame con la sida, cioè con le fronde e le foglie della quercia.

Maria battè infantilmente le mani alla proposta di passare il maggio nell’ovile, tanto più che cominciava ad annoiarsi della sua vita sfaccendata di sposa ricca.