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la via del male 35


Ella si offese, si allontanò, e dal fondo della vigna cominciò a gridare:

— Eccolo là, il puledro che dà i calci; se sei di malumore, oggi, ebbene appiccati a quel fico come Giuda. Lo vuoi il legaccio della mia scarpa, di’, tu, occhi da gatto selvatico?

Egli non rispose, curvo, intento a spiccare i grappoli con la sua falciuola.

Gli altri vendemmiatori erano tutti allegri; i giovanotti pizzicavano le ragazze ed esse ridevano e strillavano, agili e dritte, coi cestini colmi d’uva violacea sul cercine che incoronava le loro graziose teste di arabe provocanti. Qualcosa di pagano era in quella semplice festa campestre: un’onda di gioia e di voluttà accarezzava i bei contadini sani che parlavano come sentivano, e le vendemmiatrici che avevano solo la coscienza di quel giorno di sole, della dolcezza dell’uva matura, del contatto coi maschi desiderosi. Solo Pietro taceva, scontento, lontano. E nessuno si curava di lui.

Due giovanotti presero a cantare, senza smettere il lavoro, improvvisando una gara estemporanea sulla bellezza delle fanciulle presenti: ma più tardi la gara degenerò in un battibecco personale; dai versi si venne alla prosa, e verso il tramonto i due poeti rivali si azzuffarono. Solo allora Pietro sorrise, ma d’un sorriso quasi feroce: poi aggiogò i buoi ad un carro colmo d’uva, slegò il cane, prese il pungolo.

Una colonna di nebbia bianca saliva dietro la montagna, sopra i boschi di Monte Bidde, e un