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la via del male 63

chie, estraendo le radici dei lentischi, arando e seminando i lembi di terreno liberi di vegetazione.

Nei vaporosi crepuscoli si scorgeva ancora la sua macchietta sullo sfondo del paesaggio melanconico. Egli arava ore ed ore, andando lentamente dietro i pazienti buoi rossi che trascinavano l’antico aratro sardo. Giunto alla fine del lungo solco batteva il pungolo sul fianco del bue picchiettato di bianco e lo costringeva ad una giravolta. Ridiscendendo la china, fra la terra smossa, umida e quasi nera, che fumava esalando un odore di erba in fermentazione, egli tirava la corda perchè i buoi non corressero; giunto al basso, ripeteva la giravolta e risaliva, sempre taciturno, col pungolo in mano.

I buoi respiravano faticosamente; le loro corte palpebre rosse si abbassavano quasi con dolore sui grandi occhi tristi, e le loro narici nere fumavano come fumava la terra smossa.

Il profilo dell’alta persona del servo spiccava tra i vapori violacei della sera. La solitudine del paesaggio immenso e triste, coi confini perduti in una lontananza indecisa, dalla quale le montagne emergevano livide, contribuiva a render più intenso il raccoglimento del giovine lavoratore.

La passione smuoveva il suo cuore come il vomere la terra: e come la terra egli non se ne domandava il perchè.

Qualche volta si disperava ancora, ma non invocava più l’aiuto di San Francesco o dell’anima beata di sua madre perchè lo liberassero dal desiderio che lo vinceva tutto.