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allora si metteva in testa un turbante di alchimista: e, invero, con le sue strane forbici, i vasetti, le ampolle, gli schizzatoi, e sopratutto con la sua lunga figura triste, il viso di vecchio satiro, pareva un uomo fuori del naturale, intento a qualche misterioso rito agricolo.

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Le signore villeggianti, che allungavano le loro oziose passeggiate fino al viale intorno alla villa Brischi, si fermavano davanti alla cancellata, ricca di pilastri, di palle dorate di cattivo gusto, guardando con ammirazione alquanto golosa e beffarda il giardino che, con le sue torte di aiuole screziate di fiori d’ogni tinta e orlate di erbette color marmellata, dava l’idea d’una vetrina di pasticceria: anche i ciottolini candidi e levigati dei viali parevano confetti.

Più a lungo delle altre, una di queste signore, piccola e bruna nella sua vestaglia giapponese, sotto l’ombrellino a stecche, come una gèisha autentica, si fermò un giorno, fissando gli occhi obliqui stupiti sulla figura del caratteristico giardiniere che, senza curarsi di lei, intrecciava le fronde di una pianta rampicante alle sbarre della cancellata, e pareva invero uno scimmione affacciato alla sua gabbia. Nonostante questa rassomiglianza, la donna lo guardava come incantata, e