Pagina:Deledda - Le colpe altrui.djvu/116

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lite, dagli occhi lucenti; e tese la mano, spinto dal desiderio di stringerne uno; ma al suo gesto tutti volarono via assieme lasciando l’aria palpitante dal loro spavento.

— Se tu fai così non tornano più. Io non ho mai tentato di prenderli; ecco perchè vengono! — gli disse il frate con impazienza.

Allora egli si alzò, col viso di nuovo oscuro, e tornò fuori sull’erba. Di là sentiva la zappa del frate battere nell’orto, e pensava ostinatamente al susino fiorito, a Vittoria che piangeva su lui le lagrime del tradimento. No, non è possibile che tutto sia finito. Ella è già tra i suoi fiori, all’ombra della casetta che ha nascosto la felicità casta e poi il dolore della madre: ella è buona, è pura; egli non ha che a ritornare a lei e chiuderla entro il suo cuore come l’uccellino nel pugno.

— Essi vengono perchè io non ho mai tentato di prenderli...

Sollevò gli occhi, sembrandogli che il frate lo spiasse al di là della muriccia; non vide nessuno e ripiombò nel suo sogno; ed ecco di nuovo Vittoria fra i giaggioli, all’ombra della casetta; ella però aveva mutato aspetto, aveva gli occhi pieni di attesa e di voluttà; occhi impuri, abissi di male. E si volse bocconi, gemendo, e morsicò l’erba e la pietra.

Al tramonto arrivò Pancraziu a cavallo con una bisaccia colma di provviste.

— Bene! Siamo come alla festa di Monte Gonare, — disse il frate, e il servo rispose pronto, strizzando l’occhio malizioso verso il padroncino: