Pagina:Deledda - Le colpe altrui.djvu/143

Da Wikisource.

— 135 —


— Viene, viene, eccolo! — gridò con gioia.

Allora la madre rimise i gomiti sulle ginocchia e il viso fra le mani e ricominciò a dondolarsi e a gemere.

— Figliolino mio... figliolino mio bello...

E mentr’ella bagnava con le sue lagrime il rosario e credeva di vedere ancora Andrea piccolo come quando era stata scacciata dalla sua casa e per mesi e mesi aveva pensato a lui con ansia, con fame, con sete di baciarlo, Mikali si drizzò, impotente a toglierla di lì, e rivolse la sua collera contro il ragazzo.

— E che, passano i cavalli di ritorno dalla festa che ridi così? Al diavolo che ti regge sulla terra, piccola immondezza che altro non sei...

— Zio Mikà, non l’avete con me...

— Ah, non l’ho con te? Aspetta, marrano...

Lo rincorse ma non lo raggiunse, e si fermò poichè vedeva una macchia nera avanzarsi nel sole dello stradale. Eccolo, veniva! E il gemito della madre risuonava fra il canto degli uccelli e il fruscìo dei cespugli scossi dal vento leggero.

Mikali aveva vergogna che la gente la vedesse ferma lì come una mendicante, ma aveva pietà del dolore di lei e d’altronde era certo che Bakis Zanche non avrebbe badato alla disgraziata, come non aveva badato a lui. Eccolo, dietro il carro che avanzava lento, seguìto dagli uomini col cappuccio calato sulla fronte; sembrava, in mezzo ai due carabinieri, un prigioniero, legato dal suo dolore, insensibile al resto.

D’un balzo però la madre si staccò dal gruppo di persone fermo sull’orlo della strada, e