Pagina:Deledda - Le colpe altrui.djvu/187

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— Mi pare di mancare da trent’anni e di tornare a casa mia dopo una lunga condanna e un lungo esilio...

— Sì, — confessò poi — non lo nego, amo ancora Mikali, ma non come prima. Mi pare che anche se lo sposassi non sarei contenta. Ma ecco la mia zia; non ditele nulla, vi prego; lasciate ch’io sola decida della mia sorte.

La gobbina si avanzava scuotendo i lembi della gonna come ali nere; sembrava un grosso pipistrello e il suo occhio azzurro brillava di gioia e quello verde di malizia.

Mentre il frate sedeva nella piccola cucina, in attesa che zia Pietrina tornasse dall’orto, Vittoria salì nelle stanze del piano superiore e frugò in ogni angolo quasi cercasse il suo passato, la sua gioia perduta, triste e felice assieme, con l’orizzonte di nuovo aperto davanti, ma turbata davvero, nella sua letizia, dalla melanconia dell’esule che ritorna. Nulla è mutato intorno; ma è mutato lui.

Trovò finalmente la fisarmonica, che la madre aveva nascosto dentro la cassa, e sedette guardandola sul davanzale della finestra; eccola ancora, gialla, verde e violetta, coi tasti lucenti come bottoni che solo a premerli spalancano le porte d’una casa incantata; ed ella li preme, e un soffio, un lamento, un grido di uccello ferito nel nido attraversano lo spazio.

— Vittoria, nipote mia, Dio ti aiuti, — gridò di giù la gobbina, — che fai? Non ricordi che sei in lutto stretto?