Pagina:Deledda - Le colpe altrui.djvu/31

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volta. Seguiva un sentiero fra le macchie, al di là del torrente che corre parallelo allo stradone; a poca distanza di uno stazzo bianco circondato di un recinto di siepi e di fichi d’India si fermò indeciso, ma subito scosse la testa e riprese a camminare verso il paesetto.

Ed ecco la casa di Vittoria Zara, stretta e nerastra come una piccola torre, in mezzo a un campo di fave illuminato dal tramonto. Un tronco irsuto di quercia coperto d’edera gettava la sua ombra sul piccolo spiazzo circondato di giaggioli dai grandi fiori di velluto violetto, e al di là la strada si slanciava fino al paese, bianca e dritta in modo che il campanile, in mezzo ad un gruppo nero di casupole, pareva lì vicino, col sole che tramontava sulla sua cima e la campana lucente come fosse d’oro, con la corda nera penzoloni.

Una ragazza alta dai lunghi occhi verdognoli un po’ obliqui e le larghe trecce nere lente sul collo olivastro, sbatteva una sottana davanti alla porta e cantava a mezza voce. Era così flessuosa che ad ogni movimento pareva si allungasse e si abbassasse, con qualche cosa di serpentino nella persona di cui il corsetto nero e la sottana pieghettata con un alto bordo violetto disegnavano le forme agili. I giaggioli intorno, il colore del suo nastro, il tronco lucente d’edera a fianco della casetta a torre, lo sfondo della brughiera e del paese sull’orizzonte d’oro, parevano creati apposta per dare maggiore risalto a questa figura di giovinezza e di gioia.