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nostra padrona. Aspetta; fa cuocere anche un agnello intero, da Pancraziu che lo sa bene: intero, hai capito?

— C’è anche frate Zironi, lo volete? — domandò Vittoria sottovoce.

— Che me ne faccio di frate Zironi, se ci sei tu? Va! — gridò alla serva irritandosi.

Rimasero soli; ma Vittoria aveva paura e il calore che la mano di lui le comunicava la faceva sudare.

— Andrea non arriva! Neppure la disciplina militare gl’insegna l’obbedienza. Ma tu lo sgriderai, tu che hai la testa ferma e il cuore profondo... Io farò il testamento e lascerò tutto a te... perchè tu sarai la padrona vera... la colonna della casa...

Vittoria chinò il viso sulla mano di lui e si mise a piangere; ma egli si sentì come rinfrescato da quelle lagrime che credeva di riconoscenza e d’amore, e balbettando si assopì.

Allora Vittoria piano piano, aiutandosi con l’altra mano, si liberò dalla stretta di lui e si alzò cauta; quando fu sull’uscio si volse per assicurarsi che egli dormiva e attraversò di corsa l’andito come fuggendo: ma rientrata nella cucina fu ripresa dal senso della realtà: no, di là non si poteva fuggire; i servi sedevano attorno al focolare e Pancraziu invece dell’agnello arrostiva allo spiedo un formaggello che si gonfiava e si screpolava come una grossa mela rossa; la gobbina scherzava con loro, mentre il frate stanco e mezzo addormentato pregava, coi piedi sulla cenere confusi con le

Deledda. Le colpe altrui. 3