Pagina:Deledda - Nel deserto, Milano, 1911.djvu/110

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drato dalla benda nera e le mani sotto il grembiale, ritta sulla soglia della casetta guardava quasi con ostilità il bambino e trovava ridicolo che Lia si preoccupasse tanto per un monello simile, suo figliastro per giunta.

— Egli ti darà del filo da torcere, — le disse, raggiungendola sotto il palmizio. — Ah, i figli altrui! Non bisogna mai occuparsene.

— Voi però ve ne siete occupata!

— Era altra cosa. Raccontami, adesso....

Lia le raccontò ingenuamente tutte lo sue avventure dopo l’arrivo a Roma, la storia del suo matrimonio, la morte dello zio: e con sorpresa osservò che al ricordo di questi la zia Gaina, che aveva un gran rispetto dei morti, non solo non brontolava più, ma non trovava nulla a ridire neppure per il generoso lascito alla serva.

— Eh, tu lo avevi abbandonato, e in quello stato, poi! È già molto se egli si è ricordato di te! Egli poi, mi hai detto, era scontento del tuo matrimonio. Ed io, sia lodata la sua memoria, non so dargli torto: non si sposa un uomo con figli, che non ha un patrimonio sicuro!

Lia ricordava lo spirito di contraddizione della zia, e non volle discutere: solo domandò:

— E con chi mi sposavo, allora?

— Partiti non te ne sarebbero mancati, rosa mia. Persino qui qualcuno pensava a te.

— Ah, sì, il maestro? È ancora vivo?

— E perchè dovrebbe esser morto? Non è poi