Pagina:Deledda - Nel deserto, Milano, 1911.djvu/139

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la, veh, ammazza anche i morti; ma per il resto, i dispiaceri cadono, paffete, come le frutta quando son marcie. Il signorino ha un’aria da buon ragazzo.

Egli strizzava gli occhi celesti ingenui mentre Lia s’asciugava il sudore con la punta delle dita e sperava. Salvador e Nino aiutavano, strofinando con cura le gambe dello sedie; sottovoce pronunziavano qualche parola proibita, — di quelle parole che più son proibite, più son misteriose e piacevoli a dirsi, — e ridevano, sotto il divano, come due grilli sotto un tronco; poi, ebbri e stanchi di gioia, litigavano, piangevano, si rincorrevano carponi come cagnolini stizziti.

Finalmente tutto fu in ordine; la sala da pranzo trasformata in salotto, questo in sala da pranzo: per la mamma e i bimbi rimaneva la camera in fondo, la più piccola, ove stavano appena due lettini e un armadio.

Lia si riposò; ma dopo l’eccitazione dei primi giorni sentì una tristezza profonda: di nuovo provò l’umiliazione della sua impotenza, si vergognò di non aver cercato ancora lavoro, di aver accolto in casa un estraneo. Gli aveva ceduto la sua camera, la camera ove era morto Justo, s’era ritirata in fondo all’appartamentino che aveva conosciuto la sua felicità, come uno che balza indietro sgomentato, sulla spiaggia dorata, all’avanzarsi del flutto. Un sentimento di rancore verso l’estraneo, che per lei rappre-