Pagina:Deledda - Nel deserto, Milano, 1911.djvu/140

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sentava tutto il prossimo indifferente e pericoloso, cominciò a tormentarla. Il mestiere di affittacamere le sembrava un grado di decadenza morale; ma questa stessa umiliazione le dava, a sua insaputa, una forza occulta: il desiderio di lottare, di sollevarsi, di tentare la sorte. Qualcosa doveva pur fare: ella non sapeva ancora che cosa, ma si sentiva pronta alla lotta.

La donna di servizio, che ella aveva dovuto prendere per le più urgenti faccende della mattina, la esasperava coi suoi racconti e la sua filosofia volgare. Era una donna di ottimo cuore che amava i bambini per un istinto quasi animale, e compativa Lia perchè conosceva la miseria di altre famiglie decadute. Piccola e grassa, con un gran petto rotondo e duro che pareva un bastione di offesa e di difesa, buono a farsi largo tra la folla, paffuta e grigiastra in viso, con gli occhi azzurri e i capelli così radi che sembravano pennellate d’inchiostro sulla cute pallida del cranio, correva di qua e di là come mia palla elastica e in un attimo rimetteva silenziosamente a posto ogni cosa: aveva un nome dolce che Lia pronunziava con piacere: Rosa, e parlava dei suoi padroni con pietà materna.

— L’altra signorina dove vado a servire alla mattina, quando ho finito qui, quella, sì, può dirsi disgraziata, non lei, signorina mia. Lei è in paradiso, in confronto: lei è bella, è sana, è intelligente: quell’altra è una povera anima.