Pagina:Deledda - Nel deserto, Milano, 1911.djvu/146

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Anche Lia provava lo stesso sentimento: di notte aveva paura e si chiudeva in camera e trasaliva ad ogni minimo rumore. Chi era là, nella sua casa? Un ignoto, un uomo che ella non aveva mai veduto nella sua strada. Egli poteva farle del male e andarsene come un ladro notturno. Che fare, che fare? Ella si stringeva ai suoi bambini, ma aveva paura anche per essi.

Una mattina Rosa, che divideva l’ostilità della sua padrona per l’estraneo, portò misteriose notizie di lui.

— È da poco a Roma. Era impiegato in un altro posto, chissà dove; ha cambiato con uno qui del Ministero, uno che aveva perduto al gioco e s’è come venduto il posto: sì, pazienza; e anche questo nostro signorino non si sa chi è: non parla mai con nessuno, ma il portiere del Ministero, che è mio amico, dico che dev’essere ammogliato. Ma la moglie dov’è? Pazienza: se si potesse domandarlo a lui; ma non capisce l’italiano.

Ammogliato? Diviso dalla moglie? Il suo aspetto non era certo quello d’un uomo felice. E d’un colpo il rancore e le paure di Lia caddero, ed ella si sentì legata all’estraneo dal filo sottile che unisce un infelice all’altro, anche se essi non lo vogliono, come il filo del ragno unisce le spine del cespuglio attorno a cui si aggira.

Allora la sua vita riprese, in apparenza, il suo corso se non lieto, tranquillo: fra la sua pic-