Pagina:Deledda - Nel deserto, Milano, 1911.djvu/185

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sua camera: dopo ch’egli le aveva stretta la mano con desiderio, la sua paura non le sembrava più infondata. Sentiva che l’uomo la desiderava e lo fuggiva per non diventar la sua preda. Ah, all’interesse che egli talvolta le dimostrava era preferibile l’indifferenza e anche il disprezzo: meglio la solitudine e la miseria che una vita di ansie e di oscuro turbamento. Era decisa a pregarlo di andarsene quando una sera egli rientrò in compagnia di un giovane pittore suo compaesano, un fanciullo pallido e delicato che somigliava a Salvador e godeva quindi le simpatie di Lia.

Ella stava nel salottino e copriva il fuoco con la cenere prima di portar via il braciere. La luce del crepuscolo illuminava ancora il salotto; attraverso le tende fiammeggiava, sul cielo verdognolo, una nuvola rossa, e nella strada umida vibrava il lamento di un organetto. Il Guidi entrò nella sua camera per cercare qualche cosa, e il pittore ristette colpito a contemplare Lia, ripiegata sulle ginocchia davanti al braciere, triste e nera, ma con la fine testa circondata da un’aureola di luce rossa.

— Stia ferma un minuto secondo! — disse il pittore. — Stia lì, stia lì! — E richiamò il Guidi, lo prese per il braccio, lo costrinse a guardare Lia contro luce.

— Sembra la regina di Saba davanti a un braciere di profumi....