Pagina:Deledda - Nel deserto, Milano, 1911.djvu/191

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Le parlava carezzevole, stringendole famigliarmente il braccio e trascinandola con sè.

— Venga, venga; venga adesso.

— Ma le pare? Vado a prendere i bimbi da scuola.

Egli l’accompagnò un tratto, fino a via Puglie attaccato a lei, fermandosi e facendola fermare davanti ai bel paesaggio chiuso a sinistra da un albero rossastro, con le mura in fondo, dorate dal sole, e la sagoma violetta di una chiesa sul cielo bianco e azzurro di gennaio. Davanti alle scuole il largo marciapiede chiaro era coperto di punti gialli e neri e di scintille: bucce d’arance, scorze di castagne, pennini e pezzettini di vetro: segni del passaggio d’un formidabile esercito di eroi della penna e del cestino. L’edificio bianco al sole ronzava come un’alveare.

Lia domandò timidamente:

— Sa nulla del Guidi?

Ma al pittore non importava nulla dell’amico lontano; voleva lei, e insisteva, e la fissava in viso coi grandi occhi avidi, come un amante folle di desiderio.

— Non le ha scritto? ella insistè, più ardita. — Pare non sia contento.

— Ma se è sempre stato, scontento? Ma se ha voluto andar lui, cosa sta adesso a seccare?

— È così nervoso....

— Peggio per lui. È come i bambini, lei lo sa,