Pagina:Deledda - Nel deserto, Milano, 1911.djvu/203

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po davanti alla tela, col coltello in mano come un delinquente pronto al delitto. Era una giornata piovosa; ed egli disse con voce rauca:

— Senta, mi dispiace di averla fatta, venire con questo tempaccio; oggi non ho voglia di lavorare.

— Su, andiamo, si faccia animo, — disse Lia maternamente; ma anche lei era, nervosa: aveva i piedi bagnati e le vesti umide.

— Ma non vede che è ridicolo? Fare un deserto, un’immensità, in una stamberga come questa? No, no, io rompo tutto e vado davvero in Egitto; ho bisogno di spazio, di verità; qui si soffoca, e l’orizzonte pare davvero di cartone....

Lia non osò dire il contrario.

— La figura poi è legnosa, è mostruosa, — egli proseguì, con accento d’odio. — Lei dice di no? Ma lei non può capire, oppure mentisce per confortarmi. Tutto è brutto, nella vita; tutto è menzogna, e noi mentiamo persino a noi stessi....

Rimasero alcuni momenti davanti al quadro, desolati entrambi; Lia vinta da un senso di pietà per l’infelice artista, egli lamentandosi di seguire una via tormentosa, che non era la sua: poscia ella se ne tornò a casa, e il sorriso ambiguo con cui il portiere le diede una lettera, finì di irritarla. Era di Piero Guidi. Ormai egli scriveva troppo spesso. Ella salì irritata le scale e lesse la lettera prima di spogliarsi, e nono-