Pagina:Deledda - Nel deserto, Milano, 1911.djvu/209

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del Cairo, i paesaggi del Nilo, il confine del deserto, i cammelli, i beduini, le donne che lavano curve sulla fiumana con la gonna sul capo gonfiata dal vento. Qualche scena e qualche tipo ricordava a Lia la sua isola, e una dolcezza di nostalgia la vinceva.

L’artista le si era accostato fino a toccarla col braccio e le spiegava qualche particolare delle fotografie. La sua voce diventava rauca e velata e le sue mani tremavano: e pareva che le visioni lontane riprodotte da quei brani di carta lucente gli dessero un’allucinazione febbrile, il desiderio quasi delirante di quel mondo ove l’ardore è pari alla luce e la nebbia rossa della sabbia spinta dal vento è come la nuvola di sangue sollevata, davanti agli occhi dell’uomo, dalla violenza dell’amore o dell’odio.

A un tratto Lia, prima che si rendesse conto di quel che succedeva, si sentì stringere da un braccio nervoso e tenace come una corda; vide il lampo degli occhi dorati, sentì una mano convulsa piegarlo la testa e due labbra sottili e ardenti fissarsi sulle sue. Provò come l’impressione di una ferita di coltello e si mise a urlare. L’album cadde e le schiacciò i piedi.

Ma ciò che più le destò terrore e ripugnanza, nella lotta che seguì, furono le parole d’amore corrisposto ch’egli pronunziava come in delirio:

— Perchè non vuoi? Tu mi ami; tu verrai; perchè adesso vuoi fuggire?...