Pagina:Deledda - Nel deserto, Milano, 1911.djvu/221

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coi riccioli spioventi sull’orlo del materasso, le braccia aperte e i pugni chiusi, pareva si riposasse stanco dopo una lotta contro qualche fantastico nemico; Salvador invece, pallido e delicato, coi capelli corti e lisci ricadenti a frangia sulla fronte dalla pelle diafana, conservava nel sonno un atteggiamento composto, e sembrava già un adolescente. Una delle sue manine scarne reggeva la guancia e il mento, su cui colava, dalla boccuccia aperta, un filo di bava lattea: l’altra mano posava sul lenzuolo che egli prima di addormentarsi aveva avuto cura di tirar bene da tutte le parti. Egli dormiva con gli occhi socchiusi, ma quando Lia s’avvicinò, le sue grandi palpebre, simili a conchiglie venate d’azzurro, si sollevarono lentamente, ed ella ebbe l’impressione che egli non dormisse. Si curvò a guardarlo e vide i grandi occhi nuotare in un vapore di sogno e fissarla come da un mondo lontano. Lo baciò sulla guancia e sentì che odorava di vainiglia e di latte come un bambino di pochi mesi, e un impeto di tenerezza e un senso di protezione verso quella creatura fragile e bella che stava attaccata a lei come la campanula allo stelo dell’avena, vinsero il suo turbamento.

Il treno arrivò con ritardo: solo dopo mezzanotte Lia sentì un a carrozza fermarsi al portone e la nota voce chiamarla:

— Signora Lia!

Ella gli buttò la chiave avvolta in un fazzo-