Pagina:Deledda - Nel deserto, Milano, 1911.djvu/252

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temere da un uomo come me. Risponda, la prego; ha fiducia in me?

— Perchè non dovrei aver fiducia?

— No, non risponda così, con una frase che non dice niente. Mi guardi, per piacere, si volti!

La tazzina tremava nella mano di Lia; ma ella pensava con fierezza: «forse egli crede che io abbia paura di me stessa» e si volse, lo guardò e non cercò oltre di liberar la mano ch’egli continuava a stringerle.

Come vinto da un irresistibile bisogno di carezze egli la costrinse a metter giù la tazzina, le prese l’altra mano e se le portò tutte e due al viso.

Lia sentì la pelle calda delle guancie di lui, le parve di scottarsi e si liberò. Ma quell’ardore le rimase nelle palme delle mani e le si comunicò al sangue. Nulla più oramai poteva guarirla.

— Io le voglio bene, Lia, — egli riprese, e il suo accento era trepido e sincero, — è inutile nasconderglielo oltre: e anche lei non è indifferente.... Non dica di no, Lia.... Perchè non dobbiamo essere amici, dunque? Ieri lei diceva ai suoi bambini, mentre questionavano: dovete volervi bene, perchè siete soli e nessuno si curerà di voi. Ed io le ripeto la stessa cosa, Lia! Siamo soli, nessuno si cura di noi: perchè non volerci bene?

— Lei non è solo! Ha famiglia, ha chi le vuol bene....