Pagina:Deledda - Nell'azzurro, Milano, Trevisini, 1929.djvu/161

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la casa paterna 157


Arrivò affranto, coi capelli brizzolati di bianco, col cuore lacero da mille dolori, ma arrivò.

E là una Urì bianca, bella e gentile, gli porse da bere in un nappo di argento: Assan bevette, e scordò i suoi dolori: poi diventò signore di quell’Eden profumato ed azzurro; e l’Urì bianca come la luna, bella e gentile, che si chiamava Gloria, diventò la compagna indivisibile della sua vita felice.

Allah avea voluto provare la costanza di Assan: Allah premiava la sua costanza.

E quando Assan diventò il signore della moschea e dei giardini, il deserto si cangiò in un prato di fiori, le siepi in rose, le serpi in uccelli che cantavano le sue glorie, adulandolo...

Ma Assan non badò più a loro, non calcò più quel suolo maledetto, disprezzò le adulazioni e gli incensi di coloro che l’avevano tanto addolorato, — ma Assan si ricordò sempre del fiorellino che l’aveva dissetato, delle rose che gli avevano sorriso, delle voci che l’avevano incoraggiato, e nel ringraziare Allah, l’altissimo, il giusto, baciava quel fiorellino e quelle rose che teneva sul suo seno.

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L’ultima a visitare è una piccola camera ovale, dalla vôlta alta, dalla finestra piuttosto piccola, ma elegante, col suo arco acuto, che guarda sul giardino...