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ro. — Nessun albero ancora: solo grandi macchie di lentischio, e campi di felci dalle foglie dentellate, ingiallite dal sole ardente.

La gente sale lentamente il sentiero, a gruppi, o sparpagliata.

V’è di tutto: uomini e donne, signore e paesane dal costume a colori fiammeggianti, con canestri ed involti: e bambini, quanti bambini! tutti allegri, chiassosi, perché non sono ancora stanchi. Tutti su, su, a poco a poco, badando di non inciampare, di non lacerarsi le vesti, di non rompersi le scarpette, volgendosi ogni tanto ad ammirare il vasto paesaggio, ripigliando fiato.

La brezza fresca, pregna di profumi di boschi umidi, scende dall’alto, viene a scompigliarci i capelli e le vesti.

E si sale, si sale sempre: sotto quel cielo cinereo, nella luce opaca che vi scende, nessuna cosa, nessun colore ha una sfumatura, un luccichio; tutte le gradazioni sono distinte, tutti i profili sono nettamente disegnati: solo una piccola chiesa bianca, alle falde del monte, pare che mandi delle ombre chiare intorno intorno.

Entriamo nel bosco: è un bosco di elci secolari, grandissimi, che ergono al cielo le loro chiome maestose, lussureggianti di verzura, con un susurro che pare mormori una sfida a tutti gli elementi,