Pagina:Deledda - Sole d'estate, 1933.djvu/43

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Il fantasma era arrivato fin sotto la veranda, e si apprestava a salirne gli scalini: la voce del poeta lo fermò, fra spaventato e stupito: poi il suo ginocchio destro si piegò; tutta la sua persona parve volesse genuflettersi davanti alla grande figura bianca illuminata in pieno dalla luna, come davanti alla statua di un santo sull’altare: la voce sempre più sdegnata del santo fermò anche il rispettoso ginocchio.

— Le proibisco di inoltrarsi. Che cosa vuole?

— Scusi, per cortesia....

— Che cosa vuole? — ripetè tonante l’idolo disturbato, mentre la testa riccioluta di una donna si affacciava a una finestra della villa.

Lo sciagurato visitatore ebbe forse paura: forse vide tutta la servitù minacciosa del poeta che gli si precipitava addosso per cacciarlo via a suon di pugni: ma si sollevò subito, ripescando dal profondo dell’anima mortalmente offesa tutto il suo coraggio. Gridò anche lui, e la sua voce risonò davvero come quella di un sonnambulo crudelmente risvegliato: il suo viso fu tutto un sogghigno.

— Maestro, sì, sono un ladro, sì, sono un malfattore. Qualche cosa volevo rubarle, sì. Passavo, come tante altre volte, davanti al suo cancello: il cancello era aperto....