Pagina:Deledda - Sole d'estate, 1933.djvu/104

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All’alba il servo si accorse del vuoto nello stabbio: ma nell’osservare che il cane non aveva abbaiato e che ancora adesso dormiva tranquillo come se tutta la notte non avesse fatto altro che compiere il proprio dovere, pensò, anche lui calmo e coscienzioso: — Povera bestia, la lingua ti hanno legato; stregato ti hanno, i ladri, con le parole magiche. Che colpa ne hai tu? E neppure io ne ho colpa. E il padrone nulla avrà da dire, poiché anche lui è stato legato dalle parole magiche di una donna: e legato bene, lui, per la vita.

E si piegò, rassegnato e incoscientemente ironico, davanti alla inesplorabile potenza delle cose fatali. Un giorno però, qualche tempo dopo, esplorando i dintorni, arrivò al covo delle volpi e in un cantuccio vide due graziosi cagnolini che giocavano allegramente a rincorrersi e morsicchiarsi; e non solo non tentarono di fuggire, ma lo guardarono come riconoscendolo. Erano due bellissimi esemplari della razza dei cani detti volpini, di quelli appunto che non si lasciano abbindolare dalla volpe e sono i più adatti a cacciarla.