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108 ZOSIMO, DELLA NUOVA ISTORIA
accolse il pensiero di metter fine alla guerra con pacifiche proposte. Mentre poi v’applicava sua mente gli eserciti proseguivano la battaglia, quello di Magnenzio, trasportato da maggior furore, non volendo far tregua neppure sopraggiunta la notte, postisi gli stessi duci a compiere le funzioni del soldato, ed animare i loro subalterni a vincere di forza il nemico. I comandanti a simile delle truppe di Costanzo rammentavano ad esse l’antico valore e la gloria Romana. Era già notte ben avanzata, ed impertanto non cessavano dal ferirsi a vicenda con aste, spade o arma comunque presentatasi loro alla mano: nè le tenebre, od altro che solito a produrre quasi un riposo dalla pugna, riuscivano ad impedire che le truppe scambievolmente infierissero sterminandosi, e ritenendo felicità somma l’essere per intiero distrutte. Molti degli stessi duci, dopo chiarissime geste caddero, ed infra questi Arcadio, comandante degli Abulchi, e Menelao, condottiero degli Armeni arcadori in sella.

Qui è uopo non passar con silenzio quanto vien detto intorno a Menelao. Egli, così il pubblico grido, caricava ad un tempo il suo arco di tre strali, e con solo un tiro non già unicamente un corpo, ma tre ne colpiva; e di tal modo non basso numero de’ nemici ebbe morte, e son per dire a lui soltanto doversi la fuga del resto. Romolo eziandio vi periva, il quale sebbene da Menelao trafitto di dardo non si rimase con tutta la piaga dal combattere infinattanto che giunse ad uccidere il suo feritore.

Dichiaratasi la vittoria per Costanzo, al dare l’eser-