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LIBRO QUARTO 167

tivo1. Ma poscia cangiatosi dal Nume il turno degli eventi, ed asceso, morto Giuliano, l’imperial soglio Gioviamo, Procopio tosto comparvegli innanzi, e deponendo in sue mani il prefato distintivo fecegli confessione del perchè ricevuto lo avesse. Pregavalo ad un’otta istantemente che lo sciogliesse dal giuro addimandato dalla milizia, bramoso di passare a tranquilla vita e dedicarsi allo studio dell’agricoltura ed alle domestiche faccende2. Graziato di quanto chiedea recossi, in compagnia della consorte e della prole, a Cesarea, città de’ Cappadoci, risoluto di farla sua stanza, possedendovi campi di molto prezzo3. Ora mentre colà dimorava, Valentiniano e Valente saliti in trono, avendolo anche da prima per sospetto, mandano di lancio messi ad arrestarlo. Egli senza opposizione si dà loro per essere tradotto ovunque abbiano divisato, implorando soltanto licenza di parlare alla moglie e vedere i figli. Riportatone il permesso invitali a banchettare, e non a pena avvinazzati, di corsa incamminasi con tutta

  1. Marcellino si fa a darne ragione dicendo: Che ai venir meno de’ soccorsi alle Romane faccende, egli procurasse tostamente di essere eletto imperatore. T. S.
  2. Costui, secondo Marcellino, per non soggiacere a morte senza condanna in forza del motivo precedentemente addotto, estimò sottrarsi dagli altrui sguardi. T. S.
  3. Ben altramente è riportato il fatto da Marcellino, il quale scrive che Procopio soggiornando in Calcedone recavasi tratto tratto di ascoso in Costantinopoli per darvi orecchio alle voci, onde cercare occasione, presentandosene alcuna, di macchinare novitadi.