Pagina:Della Nuova Istoria.djvu/475

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aprendogli il futaro, acccrlato Io avesse del prospero evento della guerra. Poichè essa terminava naturalmente con la morte di Costanzo, il parricidio convertiva in iscenza la vantata da Giuliano prenozione dell’avvenire: Ut antera afiint, qui vera loqiiunlur, ad tempu s arcano alqiie occulto facinori praesidium adveniens, atipie ad mortene, ciijus ipse architectiis erat, pròperans, conatum interim saura per domesticoriun i/ueiiidam celans. Ita facinus illud, non praescientia seti scientia erat, scelerisque opus, non daemonuni benejìcium: qui quidern quarti in his rebus scili ac solertes sint Persia luculenler ostemlit. Quest’ultimo è un rimprovero fatto ai demonj, ossia agl’Iddi! di Giuliano, che lasciarongli ignorare la propria morte avvenuta in Persia. Ma egli avrebbe potuto rispondere che n’era stato anzi da gran tempo prima avvertito, e che col candore di un pio visionario il dichiarò egli medesimo nel lungo discorso che tenne con gli amici prima di morire, e del quale tra poco favelleremo.

(6 1) Questa esitanza sì salutare ai popoli, e sì onorevole ai principi, quando essa procede non da un debole carattere, ina dall’alta idea die formatisi dei loro doveri, traspare in tutte le opere di Giuliano, ma più chiaramente nella lettera, o più presto dissertazione che voglia dirsi, diretta a Temistio il filosofo, creduto da alcuni l’oratore di questo nome, intorno ai doveri del trono, e la difficoltà di tiene adempierli. Essa è ornata di singolari pregi di stile, d’ingegno e di prudenza politica, e noi la daremo ai nostri lettori nel secondo volume.

(62) Amm., I. 22. A malgrado di ciò Libanio nell’orazione settima sovra citata delle pubblicate dal Bnongiovanni, è costretto a difendere il suo Principe dall’accusa di aver regalato de’ beni a degli Eunuchi-. Combattendo l’accusa appostagli di soverchia liberalità, prosegue: haec ego tuli: gravate quidern, sed tanien tuli. Quippe ncque vera esse certe sciebam,

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